All'origine, prima di tutte le complicazioni e gli smarrimenti, maestro Leonardo scrisse che 'il pittore pinge se stesso'; che riprenda una vertiginosa intuizione del maestro Dante:"nullo dipintore potrebbe porre alcuna figura, se intenzionalmente non si facesse prima tale, quale la figura esser dèe". E può sembrare, questo mio modo di avvio, il più arbitrario complicare un pittore così 'naturale', qual'è l'amico Roberto di Jullo, una pittura così leggibile, piacevole e immediata, qual'è la sua pittura e grafia, che addomestica un antico mondo di donne e di cavalli e lo dona al meno snobistico amatore d'arte.
Ma il senso di quell'avvio, al di sotto dell'apparente complicazione, gelidamente erudita e soltanto questo, credo immediatamente condividibile: ossia che Roberto di Jullo dipinge e raffigura un mondo che ha sapore di brado e antico, di rusticano e di incorrotto, traendolo dal puro se stesso dalla sua natura originaria. Il maestro di Jullo incontra il suo pubblico con meravigliosa facilità e immediatezza ritraendo se stesso senza lacerazioni e violenze. Campiti dentro tondeggianti geometrie in un'aria ventosa, i suoi 'temi' raccontano di lui, sono i suoi sogni e suoi rimpianti, garantiscono al mondo urbano, che li acquisterà per le sue fragili pareti, che non tutto è perduto.
Ciò che ha salvato Roberto di Jullo dai naufragi di cui è pieno l'oceano dell'arte moderna è il senso felicemente artigianale del suo operare, è l'aver messo su una libera bottega di pittura, in una vecchia Roma ancora non tutta corrotta, come fecero gli antichi maestri d'arte, dai quali si andava, con amicizia e fiducia, a ordinare opere per la casa e per la chiesa, per il regalo o per il dono a se stessi, e in intanto si aprivano cartelle di grafica, si spolveravano quadri ammonticchiati, si commentavano opere e persone del presente, in un'aggraziata dimestichezza - oggi quasi tutta perduta - tra l'artista e la sua gente in una felice concomitanza di desideri e di sogni.