Mai Roberto di Jullo, nella sua lunga militanza artistica, ha costretto la realtà al naufragio come è accaduto per gran parte delle avanguardie. Il soggetto a lui più caro, quello dei cavalli, per il quale il suo amico Alberto Sughi ha speso bellissime parole, credo sia opportuno rilevare come essi si muovano con un dinamismo per lo più circolare compiendo il transfert simbolico germinativo insito nella fabulazione ovoidale; inoltre le figure consentono una impaginazione da palcoscenico, quasi fossero attori che recitano una parte teatrale che in base alle posture degli animali ribaltati sovente all'indietro non potrà che essere drammatica.
L'evidenza prospettica proietta sullo sfondo delle opere un'atmosfera sospesa, una durata temporale dilatata al limite del metafisico: in questo senso l'incanto, il sogno rimandato a certe esperienze del giovane De Chirico.
Per il Maestro di Jullo il riferimento alla tradizione , il peso ben accettato di una cultura figurativa non sconfina nel citazionismo anacronistico, tant'è che utilizza soluzioni ardite frutto della coscienza dell'hodie sul piano stilistico.
Basti citare l'altro tema a lui caro, quello della donna, immortalato in una lunghissima serie di inchiostri, di matite grasse. Ebbene egli sottopone le figure a metamorfosi, colta sul foglio o sulla tela nel momento incipiente, quello della stilizzazione triadica ovoidale: tre forme appunto e cioè il capo, la parte superiore del corpo ed infine quella inferiore con l'appendice delle gambe.
Il gioioso segno dinamico e ininterrotto circolare si avviluppa con qualche vibrazione extra, modellando con compostezza e sapienza estetica l'anatomia. L'euforia, seppure controllata del gesto, diventa canto lirico, idillio, energia che genera l'entasi per la proposta di una umanità giubilante che non declina.